INCONTRO PUBBLICO SUL TEMA "GIOVANI E LAVORO"



Si è tenuto a Vellai un interessante dibattito sul tema "Giovani e lavoro", che ha visto relatori ................

L’attualità del tema “giovani e lavoro tra difficoltà e aspettative, sogni e realtà” è stata percepita anche ieri sera nell’incontro pubblico svoltosi a Vellai e promosso da FABRICA2010. La Sala S.PIO X, luogo dell’incontro, ha accolto i tanti giovani e meno giovani interessati ad affrontare con relatori importanti questa a preoccupante realtà con la quale ci si deve confrontare quotidianamente.

L’introduzione di Primo Torresin ha evidenziato che su questo tema anche il Governo sta cercando di predisporre dei piani di azione attraverso la stesura del progetto ITALIA 2020, che prevede interventi per l’occupabilità dei giovani attraverso l’integrazione tra apprendistato e lavoro. Ma a suo modo di vedere ci sono tre criticità che continuano ad ostacolare una veloce transizione dalla scuola al lavoro :

  • Tempi eccessivamente lunghi nell’inserimento lavorativo

  • Persiste una inoccupazione/disoccupazione temporalmente troppo accentuata

  • Persiste ancora una rete amicale nelle modalità di assunzione, soprattutto nel privato, mentre il pubblico presenta ritardi e debolezze nel sistema del reclutamento dei lavoratori.

A dispetto di questi fattori negativi – ha continuato Torresin – va riconosciuta ai giovani la capacità di sapersi adattare e infatti essi sono privi di rigidità ideologiche e culturali : nella ricerca di un’occupazione la maggioranza di loro sceglie di usare i verbi “accontentarsi” e “accettare”. Infine, va eliminatolo stereotipo che vede nei giovani solo dei fannulloni sempre alla ricerca di divertimento : in realtà, nella scala dei “loro mondi di vita”, i soldi, il tempo libero e i divertimenti appaiono piuttosto laterali.

La domanda finale posta da Torresin è stata : sarà capace la società locale, il suo mercato del lavoro, il mondo delle professioni, la domanda delle imprese, la formazione (scolastica e non) a fare del lavoro uno strumento non solo di reddito e di “posti di lavoro”, ma anche provocare inclusione e integrazione affidabile dei giovani nella società ?


L’ ing. Gian Luca Vigne ha messo in evidenza come la disoccupazione giovanile sia più pronunciata tra le persone che abbandonano precocemente gli studi e non conseguono nemmeno un diploma di scuola superiore. Secondo i dati OCSE, il tasso di disoccupazione tra coloro che non hanno terminato le Scuole Superiori è, in media, tre volte superiore a coloro che hanno un titolo universitario e quasi il doppio rispetto a coloro che hanno ottenuto un diploma superiore. Questi dati vengono confermati dai cosiddetti NEET, cioè coloro che non lavorano, non studiano, non si aggiornano (Not in Education, Employment or Training). Si riscontra, ha continuato, anche nell’attuale fase depressiva una grave carenza di competenze tra i giovani che si riflette direttamente in una mancata partecipazione attiva al mercato del lavoro. Concludendo egli ha spronato i giovani ad essere intraprendenti e propositivi anche nei posti di lavoro, ad assumere iniziative forti di proposte innovative in progetti di grande dimensione.


Il Sindaco di Longarone, Roberto Padrin, ha invece esortato i giovani a rischiare anche in campo amministrativo che, anche sulla base della propria esperienza, può riservare grandi soddisfazioni. Anche in questo campo, però, è necessaria una cultura di base che può consentire un percorso innovativo anche nel campo dell’amministrare la cosa pubblica, oggi troppo personalizzata e legata alla Politica. Bisogna però mettere entusiasmo e voglia di riuscire, di emergere, di dimostrare il proprio valore.


Sono intervenuti numerosi giovani, esplicitando le deficienze della formazione scolastica, della mancanza di un collegamento vero tra quello che si studia con il successivo posto di lavoro, dell’esistenza di alcune lobby in alcuni settori, della difficoltà di inserimento in quanto le aziende cercano personale con esperienza, non trovando al contempo quelle in grado di consentire veri e utili stage formativi.


INTERVENTO DELLA DOTT.SSA MONICA SANDI

La ripresa economica non sta generando posti di lavoro sufficienti e ci sono, da parte degli esperti in materia di lavoro, anche dubbi sulla qualità dei posti di lavoro creati.

L’emergenza lavoro è avvertita a livello mondiale e l’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro) nel suo “World of work report 2010” dal titolo emblematico From one crisi to the next? pubblicato nel settembre scorso, mette in luce come nella maggior parte dei Paesi (38 su 68) per i quali sono disponibili le informazioni l’andamento del mercato del lavoro è stato negativo nel 2° trim. 2010 sia per il continuo stillicidio di posti di lavoro che per la ricaduta dei livelli occupazionali dopo una breve e fragile ripresa. Alcuni tra i Paesi che hanno sperimentato aumenti di occupazione evidenziano che i nuovi posti di lavoro sono stati di tipo part-time; in altri, i lavoratori lavorano meno ore di quelle contrattualizzate o hanno ricercato occupazioni “informali”. Il numero di persone che ha perso il posto di lavoro da più di un anno e non ha trovato alcuna occupazione è in aumento in quasi tutti i Paesi, così come il numero di coloro che, scoraggiati, hanno smesso di cercare lavoro con evidenti ripercussioni sul piano personale e sociale. Lo scoraggiamento sta opprimendo soprattutto le donne e i giovani che sono stati, fin dall’origine della crisi i più colpiti (come avviene solitamente nelle fasi economiche critiche). Indagini recenti hanno evidenziato che occorrono in media circa 11 anni perché l’occupazione giovanile ritorni a livelli pre-crisi, inoltre, quando un giovane trova lavoro questo tende ad assumere le caratteristiche di lavoro precario e/o a non valorizzarne le capacità. Analisi economiche hanno dimostrato che politiche del lavoro espresse in termini quantitativi e qualitativi protese al lungo periodo hanno promosso lo sviluppo dell’occupazione in alcuni Paesi. Allo stato attuale, secondo molti, appare cruciale prevenire con politiche adeguate l’esclusione dal mercato del lavoro dei lavoratori e dei giovani in particolare, pena la generazione di uno stato di disoccupazione protratto nel tempo con forti ricadute sociali.

Nelle economie avanzate ci si attende che l’occupazione evolva molto lentamente e che il ritorno a livelli pre-crisi avvenga non prima del 2015 (il precedente rapporto indicava il 2013 come data utile), al contrario, nei Paesi emergenti e in via di sviluppo (Asia e America Latina) il recupero occupazionale sta compiendosi velocemente (a forma di V) e il raggiungimento dei livelli pre-crisi si completerà nell’anno corrente (per loro la sfida è creare nuovi posti di lavoro).

Il Bollettino n. 63 della Banca d’Italia del 18 gennaio rivede al ribasso le stime di crescita per il prossimo biennio dell’Italia, indicando un aumento del PIL dell’1% contro una media europea dell’1,5% (le medesime stime sono condivise dal Centro Studi di Confindustria), pertanto, in assenza di una robusta espansione economica è difficile ipotizzare un incremento di occupazione: l’attuale fase di ripresa è troppo debole sia per ricostituire i posti di lavoro perduti che per riassorbire i cassaintegrati. In caso di aumento di domanda, le imprese, sussistendo un pesante clima di incertezza, privilegeranno ovviamente, per eventuali assunzioni, forme contrattuali flessibili e temporanee.

Secondo la Banca d’Italia, è proseguita nel 3° trimestre 2010 la flessione dell’occupazione (-0,2% rispetto al periodo precedente); tuttavia i dati mensili provvisori diffusi dall’Istat danno conto di un lieve incremento nei successivi mesi di ottobre e novembre (che, però, sembra, in parte. dovuto all’uscita dal computo di quella fetta di lavoratori che non cercano più un’occupazione). Si confermano le tendenze in atto dagli inizi della crisi, in quanto il calo occupazionale continua a essere più intenso tra i giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni (il tasso di occupazione passa dal 22,3% al 20,5). Inoltre, la flessione dell’occupazione nel terzo trimestre rispetto allo stesso periodo del 2009 ha interessato esclusivamente lavoratori dipendenti a tempo pieno e a tempo indeterminato (-2,7%), mentre si è registrato un aumento dei lavoratori autonomi (0,4%), dei dipendenti a tempo parziale (4,3%) e a termine (0,5%). La debolezza delle prospettive occupazionali tende a scoraggiare la ricerca di lavoro, soprattutto tra coloro che hanno scarsa esperienza lavorativa; sono diminuite, infatti le forze di lavoro (-0,4%) e il tasso di attività. A questa flessione ha contribuito il numero delle persone in cerca di occupazione sceso a -1,7% rispetto al 3° trim. 2009 con particolare rilievo per i giovani e le persone in cerca di prima occupazione.

Il confronto europeo pone l’Italia in una situazione poco invidiabile, il tasso di disoccupazione giovanile (sotto i 25 anni) è salito a novembre 2010 al 28,9% (record dell’anno) collocandoci al terzo posto dopo Spagna (43,6%) e Slovacchia (36,6%). E’ pur vero che presso Eurostat non sono ancora confluiti tutti i dati dei Paesi dell’Unione, però, anche prendendo a riferimento il mese di settembre che risulta completo, la condizione italiana appare critica: l’Italia presentava un tasso di disoccupazione del 28,2% preceduta nell’ordine da Spagna, Lituania, Slovacchia, Grecia e Lettonia, Paesi che più di ogni altro hanno sofferto gli effetti della crisi finanziaria.

Un’analisi in serie storica mostra come il fenomeno della disoccupazione giovanile non sia per l’Italia legato a fattori congiunturali di breve periodo, come invece, lo è per Irlanda e Spagna nei quali la disoccupazione giovanile è esplosa a seguito della crisi, ma abbia radici strutturali. I dati Ocse mettono in luce che l’Italia ha avuto un tasso di disoccupazione giovanile superiore alla media di oltre 10 punti percentuali per molti anni, un divario che si è leggermente ridotto solo nell’ultimo biennio quando l’emergenza lavoro ha investito tutto il mondo innalzando il tasso di disoccupazione tra i giovani un po’ ovunque.

Un elemento peculiare della situazione italiana, lo squilibrio tra disoccupazione giovanile e adulta, è stato messo bene in luce dall’Associazione Italia Futura (“Giovani, al lavoro!”, rapporto edito a novembre 2010) che nota come la disoccupazione giovanile in Italia abbia un rapporto elevatissimo rispetto a quella degli adulti. Solitamente questo rapporto va da 2:1 se si considera la fascia di età 25-54 e 3:1 se si confronta con quella 55-64, ciò significa che la disoccupazione giovanile è generalmente due o tre volte superiore a quella degli adulti. In Italia, invece, questo rapporto è quasi quattro volte superiore (3,63) se si considera la fascia 25-54 e più di sette volte (7,47) se si valuta la fascia 55-64. Tra i membri Ocse, non abbiamo eguali (la Norvegia detiene il primo posto in questa classifica, ma la disoccupazione adulta è praticamente inesistente e pertanto il rapporto è elevato); persino la Grecia che ci segue, tiene la distanza. Ciò conferma che la disoccupazione giovanile è un problema che trascende la contingenza e ha natura strutturale.

La disoccupazione giovanile è più pronunciata tra le persone che abbandonano precocemente gli studi e non conseguono un diploma di scuola superiore. Secondo i dati Ocse, il tasso di disoccupazione tra coloro che non hanno terminato le scuole superiori è, in media, tre volte superiore a coloro che hanno un titolo universitario e quasi il doppio rispetto a coloro che hanno ottenuto un diploma superiore. Benché l’Italia non sia un Paese che garantisca in modo evidente questo status, questo differenziale rimane comunque ben visibile e si mantiene anche se si guarda ai cosiddetti NEET, cioè a coloro che non lavorano, non studiano, non si aggiornano (Not in Education, Employment or Training). Si riscontra, anche nell’attuale fase depressiva, una grave carenza di competenze tra i giovani che si riflette direttamente in una mancata partecipazione attiva al mercato del lavoro1.

Si sottolinea la presenza di bassi tassi di disoccupazione giovanile dove il sistema di formazione professionale e apprendistato è più sviluppato (Germania, Austria e Danimarca).

La precarietà e la flessibilità sono sostenute solo da coloro che entrano nel mondo del lavoro e si scontrano con la rigidità di chi è già inserito stabilmente e ciò non genera né dinamismo né ricambio generazionale. La flessibilità ha garantito maggiori possibilità di entrata nel mercato del lavoro, ma anche l’impossibilità a costruire una carriera, poiché ci si trova di fronte la rigidità contrattuale di chi nel mercato del lavoro era entrato prima.

In un’analisi sulla ripresa occupazionale dopo le crisi economiche intervenute negli USA dal 1960, l’economista Rajan (uno dei pochi a prevedere la crisi) osserva che fino al 1991 alla ripresa economica faceva seguito con uno scarto temporale ridotto anche la ripresa occupazionale, ma dal 2001 il recupero dei posti di lavoro persi è stato sempre più dilatato nel tempo, questo perché dal 1991 le perdite dei posti di lavoro sono state permanenti in quanto le aziende hanno chiuso o hanno tagliato delle linee di produzione (collocandole altrove) e i lavoratori disoccupati hanno dovuto trovare una nuova occupazione in nuovi settori e questo ha richiesto più tempo e maggiore formazione professionale. Il mondo è dunque cambiato e oltre a questo aspetto della delocalizzazione, si aggiunge l’alto grado di incertezza nei confronti del futuro e le aziende desiderano avere la sicurezza che la ripresa sia ben avviata prima di operare nuove assunzioni e pertanto si punta su sistemazioni temporanee.

Lo stesso economista ricorda l’importanza dello studio e commenta: “A Las Vegas i tassi degli studenti diplomati erano scesi bruscamente, dal momento che molti decisero di abbandonare la scuola per accettare i lavori non qualificati, disponibili nell’edilizia in piena espansione per il boom. Ora (a fronte dell’esplosione della bolla immobiliare, ndr) quei disoccupati senza istruzione si trovano di fronte a un livello di disoccupazione tre volte superiore a quello dei diplomati. Sarà difficile per loro rientrare nel mercato del lavoro”.

Un altro monito ci viene dallo stesso fornito studioso quando, parlando delle forti differenze sociali presenti, ricorda come la classe media, quella stessa che genera il consumo e quindi la crescita economica, stia sempre più assottigliandosi e avverte che se scoppierà la crisi della classe media sarà una crisi molto più profonda di quella attuale con poche possibilità di risalita nel breve periodo.


Le statistiche sul lavoro provinciali vengono pubblicate dall’Istat una volta all’anno nella tarda primavera e per il 2009 si è visto un rapido e importante aumento del tasso di disoccupazione (dal 2,4% al 4,4%); non esistono, invece, rilevazioni zonali. Purtroppo i dati sul lavoro sono scarsi anche perché sono venuti meno gli adempimenti da effettuarsi presso gli uffici di collocamento sostituiti ora dai Centri per l’Impiego (CPI, non è più obbligatoria l’iscrizione dello stato di disoccupazione), tuttavia le notizie che ci pervengono dalla Provincia che gestisce i CPI sono essenziali per capire l’andamento del mercato del lavoro provinciale.

Nel Feltrino si contano a luglio 2010, 2.513 persone disoccupate o inoccupate a fronte delle 1.681 di gennaio 2008. I giovani compresi nella fascia 18-29 anni sono passati da 395 a 622, mentre i disoccupati 30-54 sono passati da 1.075 a 1.537. Guardando alla composizione per fasce di età, si nota come a inizio 2008, lo stato di disoccupazione investisse per il 23,5% i giovani, per il 64% gli adulti e per il 12,6% i più anziani; trent’un mesi dopo, la componente giovanile, come quella “anziana”, si è inspessita attestandosi al 24,8%, mentre per gli adulti è scesa al 61,2%. Ciò significa che la lieve ripresa occupazionale che si è avuta nel 2010 ha interessato solo la fascia adulta, cioè coloro che, è facile supporre, disponevano di esperienza lavorativa pregressa. Anche l’indagine Excelsior sul fabbisogno occupazionale condotta a inizio 2010 ha evidenziato come l’età delle figure professionali ricercate in provincia, pur in un contesto in cui si l’età è fattore indifferente (42,9%), privilegi la fascia di età tra i 30 e i 44 anni, sottolineando come l’esperienza sia un valore significativo2.

Se guardiamo gli avviamenti al lavoro (attenzione si tratta di dati di flusso e quindi di contratti e non di persone) del primo semestre 2008, 2009 e 2010 vediamo che le nuove assunzioni che hanno interessato i giovani sono state rispettivamente il 43,4%, il 39,2% e il 38,8% del totale, in costante decremento nel periodo osservato (nel contempo si sono registrati andamenti positivi per le fasce di età più mature).

I dati dell’Osservatorio sull’occupazione artigianale dell’Unione Artigiani e Piccola Industria sottolineavano per il Feltrino al primo semestre 2010 una perdita, rispetto all’analogo periodo 2009, del 45,5% dei posti di lavoro riservati ai giovani fino ai 18 anni (prevalentemente maschi) e del -2,6% per la fascia di età 19-29. Nel primo caso si tratta di un valore ben al di sopra della media provinciale (-38%), mentre per il secondo riscontro il Feltrino si colloca in una posizione invidiabile rispetto al resto della provincia (media -8,9%). Ad ogni modo è evidente che a soffrire di più in questo periodo sono i giovani e i giovanissimi, mano a mano che l’età sale risulta palese una maggiore stabilità della posizione lavorativa, anzi, per gli over 50 si segnala anche un incremento. Un indice indiretto della fragilità del lavoro ci viene dato anche valutando l’anzianità del posto di lavoro, i licenziamenti investono di più le persone che sono presenti in azienda da meno di un anno.


1 In un colloquio avuto con la dott.ssa Faoro della Provincia in occasione della relazione camerale sullo stato della crisi in provincia edito lo scorso anno, era emerso che risultava assai difficile fare formazione alle persone espulse dal lavoro, per la maggioranza donne, perché non possedevano nessuna particolare competenza o specializzazione, né interesse. Quasi sempre prive di diploma, queste donne avevano lavorato fin da giovanissime nelle fabbriche, prevalentemente occhialerie, e sapevano fare solo il lavoro cui erano state deputate per anni. Non riuscivano a immaginare un futuro diverso, tanto che negavano la possibilità di non tornare più a fare occhiali. Per loro si trattava di una crisi passeggera, come le altre, destinata a passare e a restituire loro il lavoro nell’occhialeria, come sempre.

2 L’indagine Excelsior ha messo in evidenza per molti anni l’assenza di intenzione da parte delle aziende ad assumere personale specializzato, la ricerca di personale era limitata solo a figure professionali generiche e non qualificate. Per il secondo anno consecutivo, invece, nel 2010 le imprese si sono rivolte principalmente a operai specializzati e a figure professionali tecniche. Perdura come sempre la scarsità della ricerca di profili altamente qualificati con competenze specifiche.